1. I flussi migratori in Italia e il sistema di accoglienza

1. I flussi migratori in Italia
e il sistema di accoglienza

A causa della sua posizione geografica in Europa l’Italia, così come Spagna, Grecia, Malta e Cipro, è soggetta a numerosi flussi migratori. Secondo i dati pubblicati in tempo reale da UNHCR, gli arrivi in Italia via mare registrati dal 1° gennaio all’ottobre 2021 hanno coinvolto 51,868 persone, un numero in costante calo dal 2017. Negli ultimi cinque anni il picco massimo di arrivi via mare in Europa si è raggiunto nel 2015, anno in cui 1.032.408 migranti sono sbarcati in Italia, Cipro e Malta, Spagna e Grecia (per gli ultimi due paesi, il numero comprende anche gli arrivi via terra attraverso le frontiere). Le nazionalità dei migranti sono varie anche se la maggior parte di coloro che sono arrivati  via mare—stando ai dati fino all’ottobre 2021—sono tunisini, bengalesi, egiziani e ivoriani. Sebbene nel discorso mediatico e nell’opinione pubblica l’arrivo dei migranti sia associato unicamente al mare con destinazione Sicilia e Calabria, il fenomeno è presente anche alle frontiere che controllano i confini nazionali. Queste sono le frontiere italo-francese, la frontiera adriatica e la rotta balcanica.

Come ampiamente riportato nella ricerca realizzata da CeSPI e Osservatorio Balcani e Caucaso sulla cosiddetta “rotta balcanica”, l’Italia è coinvolta nella traiettoria operata dai migranti partiti dalla Grecia e con principale destinazione alcuni paesi europei come Germania, Francia e nord Europa, e registra ingressi via terra soprattutto in Friuli Venezia Giulia. Nel corso del 2020 in questa regione è stata registrata l’11% della popolazione totale di minori stranieri non accompagnati presenti e censiti in Italia (tra le 5.016 e 6.601 persone).

Da un punto di vista normativo, l’arrivo dei migranti sul territorio nazionale è ancora regolato dal d.lgs 286/98, il Testo Unico Immigrazione. Come previsto dalla Legge Bossi Fini in poi infatti, non esistendo più la possibilità di fare ingresso in Italia per ricerca di lavoro o con uno sponsor gli stranieri che intendono lavorare in Italia devono richiedere un visto per lavoro all’ambasciata italiana del loro paese, secondo il meccanismo previsto dalla politica dei flussi. Al di fuori di tale meccanismo, ed escluse le ipotesi espressamente regolate di ingressi per lavoro in casi particolari, chi arriva in Italia per cercare lavoro può farlo solo in condizione di irregolarità

Coloro che manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale hanno, invece, diritto di accedere al sistema di accoglienza se dichiarano di essere privi di mezzi di sussistenza tali da poter provvedere a sé stessi. I destinatari del sistema di accoglienza sono quindi i richiedenti asilo, coloro ai quali è riconosciuta una forma di protezione internazionale – ovvero che sono definiti rifugiati o titolari di protezione sussidiaria, i minori stranieri non accompagnati e chi possiede un permesso di soggiorno per varie ragioni (mediche, calamità naturali, valore civico, protezione speciale).

Il momento in cui vengono espletate le pratiche di identificazione, secondo procedure standard realizzate dal Ministero dell’Interno, è all’arrivo sulla terraferma, negli hotspot o nei vari centri di accoglienza. Sulla base di quanto previsto dal d.lgs 142/2015 e convertito in L. 173/2020, le strutture disposte per l’accoglienza dei richiedenti asilo sono distinte per fasi e includono: le strutture di primo soccorso e identificazione presenti nei principali luoghi di sbarco ovvero gli hotspot, i CPA/CAS (Centri di Prima Accoglienza/Centri di Accoglienza Straordinaria) dove i richiedenti asilo dovrebbero restare il tempo necessario per espletare le operazioni di identificazione e avviare la procedura di asilo; e i centri SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) previsti dalla ministra dell’Interno Lamorgese nel 2020. Questi ultimi dovrebbero rappresentare le principali strutture di accoglienza anche se, vista la volontarietà della partecipazione delle amministrazioni comunali ai bandi nazionali per l’apertura delle strutture, i posti disponibili risultano molto scarsi rendendo i SAI non così efficienti come dovrebbero. I titolari di protezione internazionale, riconosciuti tali attraverso un procedimento amministrativo di esame della domanda presentata, accedono ai centri SAI con priorità insieme ai minori stranieri non accompagnati.

Il consenso “informato”

Dal punto di vista della ricerca ciò che ci interessa definire sono le pratiche di identificazione sia in termini tecnologici sia in termini di appropriazione, senza il consenso informato dei migranti, di dati sensibili che successivamente varcano il confine nazionale finendo in database europei. Parlare di consenso informato dei migranti alla condivisione dei loro dati personali o biometrici è un aspetto però controverso. Per questi ultimi, che cercano di entrare nel nostro paese e di accedere al welfare più elementare, spesso non c’è vera possibilità di scelta su quali e quante informazioni cedere o meno sulla propria identità. È quindi necessario precisare che per quanto il consenso volontario e informato sia previsto dalla normativa europea e dalle sue applicazioni nazionali, esistono categorie di persone che a causa della loro condizione di irregolarità non hanno effettiva scelta e si trovano a barattare i propri dati personali e biometrici in cambio di accoglienza. Il loro arrivo e la loro permanenza sul territorio italiano è dunque definito dall’identificazione che le autorità compiono sui migranti—un procedimento che permette di provare che una persona sia esattamente una persona e non un’altra—e non dall’identità, un aspetto di sé in continuo mutamento e transizione. Le tecnologie di identificazione utilizzate sui migranti, i rifugiati e richiedenti asilo (macchine per l’acquisizione di impronte digitali, braccialetti identificativi, foglio notizie) acquisiscono e identificano un soggetto in un dato momento e in un contesto specifico, non nella sua totalità. Inoltre la prima identificazione attraverso le impronte digitali avviene nel paese di arrivo all’interno dell’UE, che automaticamente diventa il paese in cui si pensa che il migrante voglia richiedere asilo o protezione internazionale e rimanerci fino a quando la domanda non venga accettata. Alla prova dei fatti però molti migranti non desiderano rimanere nel paese d’ingresso, che spesso sono Italia, Spagna o Grecia, bensì vogliono spingersi più a nord verso l’Europa settentrionale. Proprio per questo motivo le tecnologie di identificazione utilizzate sui migranti, rifugiati e richiedenti asilo, così come il processo in sé, rischiano di contribuire alla sorveglianza e quindi alla possibilità di tracciamento e controllo dei loro corpi, che può sfociare nella possibilità non troppo remota di essere “Dublined”, ovvero rispediti nel paese di arrivo


Per chi intende ricostruire il processo di identificazione dei migranti il lavoro è dunque tutt’altro che semplice poiché il passaggio da una struttura all’altra o da un hotspot ad una struttura possono portare a doppie procedure di identificazione, oppure ad un’errata definizione della situazione di vulnerabilità dei migranti. Questo non può che incidere, in primis, sulla condizione di chi arriva al confine italiano in cerca di migliori condizioni o di protezione.