2. Cosa sappiamo sulle procedure di identificazione?

2. Cosa sappiamo
sulle procedure di identificazione?

Il “modello hotspot” nasce nel 2015 a seguito della decisione della Commissione europea di definire nuovi metodi per gestire e controllare l’immigrazione nel continente. Come si legge nella comunicazione della Commissione stessa, il 2015 segna lo spartiacque tra i sempre maggiori poteri forniti a Frontex sul controllo delle frontiere europee e la creazione di luoghi nei quali è possibile effettuare operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento dattiloscopico dei migranti che arrivano nel paese. Dal 2003 è operativo Eurodac, un database biometrico che contiene le impronte digitali degli stranieri che hanno effettuato una richiesta di asilo in uno stato membro, così come di coloro che sono entrati sul territorio europeo irregolarmente. Nel 2013 l’aggiornamento con il Regolamento Eurodac n.603/2013, direttamente collegato all’applicazione della Convenzione di Dublino e alle successive integrazioni e modifiche, prevede che ogni stato membro svolga attività di rilevamento foto dattiloscopico e consente l’accesso al database anche alle forze dell’ordine.

Nel 2015 in Italia, paese definito “sottoposto a particolare pressione”, vengono istituiti i “punti di crisi” meglio conosciuti come hotspot. Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto sono i luoghi, ad oggi attivi, nei quali l’Unione Europea prevede di condurre le procedure di identificazione degli stranieri irregolari e di fornire informazioni relative alla richiesta di protezione internazionale. Contestualmente ai rilievi vi è anche l’obbligatorietà di fornire adeguate informazioni circa l’utilizzo che successivamente sarà operato su questi ultimi: secondo l’art. 29 del Regolamento Eurodac, che tratta i diritti dell’interessato, è previsto infatti che la persona sottoposta a identificazione sia informata circa l’identità del responsabile del trattamento, dello scopo per cui i suoi dati saranno trattati all’interno del sistema Eurodac, dei destinatari dei dati, del diritto di accesso o di modifica ai dati raccolti in merito alla sua persona e dell’obbligatorietà di tale rilevamento.

Il processo di identificazione dei migranti inizia poco dopo lo sbarco su territorio nazionale(2). I migranti sono sottoposti infatti ad alcune Procedure Operative Standard (SOP) così come previsto dal Ministero dell’Interno, dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, e dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Stando a queste ultime ogni persona deve essere sottoposta ad un accertamento medico, ricevere un’informativa in merito alla normativa sull’immigrazione e asilo, essere pre-identificata, informata sulla sua condizione di irregolarità e infine fotosegnalata(3). 

(2) Nell’allegato 2 della comunicazione inoltrata dal Ministero dell’Interno – Dipartimento di Pubblica Sicurezza ai prefetti presenti sul territorio nazionale, si riscontrano (redatte in più lingue) le indicazioni operative su identificazione e fotosegnalamento del migrante irregolare. 

(3) Non è possibile conoscere nello specifico quali strumenti siano utilizzati per il fotosegnalamento dei soggetti da parte delle forze dell’ordine. Notizie stampa o comunicati di amministrazioni pubbliche forniscono un’idea dei dispositivi presenti: un esempio è quello del comando di Polizia locale di Grosseto. 

Presenti in questo frangente, oltre al personale medico, sono gli addetti della polizia scientifica e gli esperti di Frontex per l’acquisizione di impronte digitali e la verifica dei documenti. All’interno delle SOP si fa riferimento anche a personale appartenente a UNHCR e ad OIM, che ha lo scopo di supportare i migranti che richiedono protezione internazionale o asilo nel nostro paese, segnalando eventuali casi di vittime di tratta.

Come sottolineato da ASGI, nella situazione delineata il migrante non ha alcuna possibilità di ottenere consulenza legale in merito al processo di identificazione o di definizione delle sue istanze da parte di professionisti indipendenti o di organizzazioni non governative, e l’effettivo rispetto delle procedure SOP è demandato alla professionalità del personale di polizia.

La pre-identificazione

Le Procedure Operative Standard impongono che prima o appena dopo lo sbarco sulle coste italiane, al fine di completare il modulo di pre-identificazione, il migrante riceva un braccialetto con un numero identificativo progressivo(4) che mostra al momento del fotosegnalamento. Una volta arrivato all’hotspot la procedura prevede che il migrante sia controllato e successivamente siano raccolte informazioni circa la sua nazionalità. Nel caso dell’hotspot di Lampedusa, nella fase di pre-identificazione la Questura di Agrigento compila il cosiddetto “Foglio notizie” che contiene informazioni sulle motivazioni per cui la persona è giunta in Italia e dettagli sulla sua identità e nazionalità. La compilazione del foglio notizie, un modulo a crocette prestampato e spesso non tradotto in tutte le sue parti essenziali, è frequentemente sottoposta ai migranti in assenza di adeguata mediazione culturale. Ciò può risultare estremamente pericoloso e lesivo del diritto di asilo nonché della loro libertà. 

Copia del foglio notizie utilizzato dalla Questura di Agrigento e ottenuto tramite richiesta di accesso civico generalizzato (FOIA).

(4) Non è possibile reperire informazioni precise sul momento in cui sia effettivamente consegnato il braccialetto identificativo ai migranti. In alcuni casi è emerso, da ricerche online e parlando con alcune associazioni di settore, che il braccialetto è fornito sull’imbarcazione che trasporta i migranti dal luogo del salvataggio allo sbarco sulla costa italiana; in altri casi è emerso essere stato consegnato al momento dello sbarco sulle coste italiane.

La fase di identificazione

Nel caso in cui il migrante possieda un documento, secondo procedure SOP, questo viene verificato attraverso i vari database in possesso delle forze di polizia presenti(5). La vera e propria procedura di identificazione all’interno dell’hotspot(6) si basa sulla verifica delle impronte digitali, richiesta ai soggetti di età superiore ai 14 anni, soprattutto se in mancanza di un documento di identità (valido); ed è svolta da agenti della Polizia scientifica italiana ed esperti Frontex. Da sottolineare in questo frangente è la possibilità che il migrante possa opporre resistenza al rilascio delle impronte digitali, anche se il Regolamento Eurodac prevede che le forze dell’ordine presenti possano obbligare con la forza il soggetto o trattenerlo in stato di detenzione.

(5) Si fa riferimento allo SDI (Sistema di Indagine), al SIS e al SIS II (i sistemi informativi Schengen, di cui il secondo è il più grande sistema di pubblica sicurezza in Europa), al SLTD (banca dati dei DOcumenti di Viaggio Rubati e Smarriti) e al VIS (sistema informativo Visa).

(6) Secondo quanto riportato dall’associazione Un ponte per, che ha elaborato un’analisi approfondita dell’hotspot di Taranto attraverso il progetto STAMP, le pre-identificazioni e le identificazioni da svolgere all’interno degli hotspot comportano frequenti casi di trasferimento dei migranti irregolari dal luogo in cui è avvenuto il fermo alle strutture esistenti (tutte dislocate nel sud Italia). Nel report si fa riferimento a migranti fermati nella città di Ventimiglia condotti a più di mille chilometri di distanza per effettuare le procedure di identificazione ed essere rilasciati il giorno successivo. 

Le impronte ottenute, insieme ai dati personali del soggetto, sono inserite nella cosiddetta “cartellina fotosegnaletica” all’interno della banca dati AFIS che funge da sistema di verifica di eventuali precedenti registrazioni dattiloscopiche del migrante, al quale il sistema associa un Codice Unico Identificativo per controllare eventuali alias o fornire – in caso fossero già note al sistema – le generalità del soggetto. Il database AFIS è dunque fondamentale per fornire il primo riscontro identificativo dei migranti, motivo per il quale sarebbe di cruciale importanza per attori indipendenti e associazioni non governative sapere se le informazioni personali dei migranti sono inviate a Eurodac e cosa questo comporti per le successive tappe del viaggio del migrante. Come consentito infatti dal Regolamento UE n. 603/2013, le impronte digitali acquisite nazionalmente possono essere inviate al sistema centrale Eurodac al fine di confrontare le impronte rilevate con quelle già presenti nella banca dati, e per definire l’effettivo ingresso illegale nel territorio europeo. Se nel caso di Eurodac i tempi di conservazione dei dati raccolti sono ben definiti, nel caso di AFIS non è facile comprendere se la situazione di irregolarità nella quale si trovano i migranti che arrivano in Italia sia poi continuativa nel tempo. Di questo parleremo approfonditamente nel capitolo dedicato al sistema di riconoscimento facciale italiano SARI. 

Esempi di dati biometrici: occhio, volto, impronte digitali, andatura, voce, digitare sulla tastiera.

Dalle informazioni che il team di ricerca ha raccolto grazie all’invio di una richiesta di accesso civico generalizzato (FOIA), nel caso dell’hotspot di Lampedusa è la polizia scientifica di Palermo ad effettuare le procedure di fotosegnalamento. Quest’ultima utilizza tre diversi moduli che permettono la raccolta delle 10 impronte delle dita di una mano, l’impronta del palmo delle mani, i dettagli sul luogo e motivo del segnalamento, i dati anagrafici, i connotati fisici e i segni distintivi e infine la presenza nel database Eurodac. Sempre nell’hotspot di Lampedusa, secondo quanto dichiarato nella risposta della polizia scientifica, sarebbero ufficiali della Questura di Agrigento a rilasciare alla persona straniera una nota informativa, redatta in più lingue, contenente le informazioni di cui all’art. 29 del regolamento Eurodac che spiega i diritti dell’interessato, nota che viene fatta sottoscrivere al migrante per presa visione. 

Per quanto riguarda gli altri hotspot, anche se non ne abbiamo conferma certa, a occuparsi delle procedure di fotosegnalamento dovrebbero essere sempre la Questura del comune in cui si trova la struttura e il gabinetto di polizia scientifica di competenza nella regione. Il rispetto delle procedure, per le quali non assistono organi indipendenti, è lasciato nelle mani della professionalità degli operatori di polizia che dovrebbero assicurarsi che i migranti possano confermare o modificare i dati richiesti durante l’identificazione. Un esempio dell’importanza della rettificazione dei dati è quello relativo all’inserimento di nome e cognome: può capitare infatti che questi siano scambiati o che vi siano veri e propri errori per cui il nome e il cognome non siano riportati con le lettere corrette. In alcuni casi errori di questo tipo possono generare degli effetti a catena tali per cui una persona può essere fotosegnalata più volte poiché le generalità inserite non combaciano o, nei casi peggiori, portare per lo stesso motivo all’allontanamento di una figlia minorenne dai propri genitori biologici.

Come sostenuto anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione istituita nel 2014 e ora non più operante, è inoltre necessario considerare che l’identità che viene attribuita alla persona in movimento arrivata in Italia è un’identità prettamente dattiloscopica, che può non coincidere con quella anagrafica reale.

Il fotosegnalamento, si legge nella relazione, “costituisce un mero segmento della più ampia procedura di identificazione (anagrafica), in quanto mira principalmente all’attribuzione di una identità dattiloscopica. Tale identità, tenuto conto del quadro normativo europeo, rappresenta il caposaldo del sistema di controllo dei flussi migratori”. E ancora, “[…] le impronte digitali costituiscono l’unico dato univoco ed individualizzante che una volta inserito nella banca dati nazionale (Casellario centrale di identità) e in quella europea (Eurodac) consente di cristallizzare il dato storico del passaggio di quel soggetto in un determinato luogo”.

Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione ed espulsione – Relazione sul sistema di identificazione di prima accoglienza nell’ambito dei centri “hotspot”, 26 ottobre 2016.

L’identificazione del migrante è quindi estremamente parziale, e non fa altro che mettere quest’ultimo nella posizione di contrattare alcuni importanti dati personali per l’ottenimento della protezione internazionale o di altri diritti fondamentali legati alla situazione nella quale si trova. Pur riconoscendo che non è sempre possibile fornire informazioni dettagliate sul trattamento dei dati biometrici ai migranti ed alle persone in movimento, il tema della gestione e dell’interoperabilità dei database deve essere considerato un tema centrale. Infatti la raccolta di dati biometrici nella fase di identificazione rappresenta la base da cui parte ogni tentativo di introduzione di nuove forme di sorveglianza, in particolare quella effettuata per mezzo di algoritmi come nel caso del riconoscimento facciale.