4. Dove finiscono i finanziamenti europei per il controllo dell’immigrazione?

4. Dove finiscono i finanziamenti europei
per il controllo dell’immigrazione?

Oltre alla direzione politica nel controllo e nella gestione delle frontiere, l’Unione europea fornisce un supporto materiale agli stati membri attraverso i loro ministeri nazionali. In Italia, la Direzione generale Migrazioni e affari interni della Commissione europea dialoga con i ministeri dell’Interno e dell’Economia e delle Finanze per definire le autorità che gestiranno i fondi europei e quelli che sono definiti programmi operativi nazionali. Attraverso alcuni tavoli di lavoro, i finanziamenti provenienti dall’UE vengono destinati a vario titolo nei progetti rientranti nel Fondo Sicurezza Interna, istituito per la prima volta nel 2014. Questo ha due applicazioni: la prima è relativa alle frontiere e ai visti, nell’ottica di gestire le frontiere esterne dell’Unione; la seconda è ISF-Polizia, che ha lo scopo di contrastare la criminalità all’interno dei confini. Per gli anni 2014-2020, in cui il fondo è stato attivo, il bilancio ammontava a 4,2 miliardi di euro.

Struttura organizzativa del Fondo Sicurezza Interna, 2014.

Il programma nazionale dei finanziamenti italiano è stato approvato nel 2015 dalla Commissione europea, con un budget relativo di 244.888.658 euro da utilizzare nell’arco di 6 anni. In numerosi progetti è prevista una doppia natura di finanziamento, in parte europea e in parte nazionale.

Il programma nazionale 2014-2020 e i progetti finanziati in campo tecnologico

Conoscere quali tipi di tecnologie o strumentazioni vengano finanziate dall’Europa e poi utilizzate su territorio nazionale non è semplice. Tracciare il percorso che questi finanziamenti fanno e definire come vengono utilizzati aiuta non solo a comprendere (o rinforzare) l’idea e la direzione verso la quale l’Unione Europea decide di agire sul tema delle migrazioni, ma anche a verificare e dare contezza dello stato dell’arte italiano sull’uso di tecnologie di sorveglianza e controllo. Nello specifico ci è sembrato particolarmente interessante comprendere fino a che punto i finanziamenti europei spingessero il ministero dell’Interno italiano ad acquistare determinate strumentazioni, e se la presenza di queste ultime sia effettivamente riscontrata sul campo. All’interno del documento di programmazione nazionale del Fondo Sicurezza Interna, tra gli obiettivi si fa esplicito riferimento alla necessità, prevista dal ministero dell’Interno italiano, di

“rafforzare la capacità di sorveglianza e contrasto dei flussi migratori illegali con l’acquisto di mezzi e strumenti per la sorveglianza delle frontiere”.

L’acquisizione di infrastrutture, sistemi e attrezzature per i controlli e il miglioramento dei mezzi aerei, marittimi e terrestri per il pattugliamento è un obiettivo nazionale, ma le priorità sono ben più specifiche: nel documento si legge che i finanziamenti sono pianificati per

“l’acquisto di uffici mobili e apparati fissi, mobili e trasportabili per verifiche biometriche e documentali e fotosegnalamento interoperabili con i principali sistemi in uso (SDI, SIS, AFIS, Eurodac)” nonché per “l’adeguamento o realizzazione di infrastrutture per identificazione migranti, controllo delle persone alle frontiere o verifica della posizione di cittadini di Paesi Terzi presso hotspot e principali luoghi di sbarco, BCP e Uffici preposti al contrasto della migrazione illegale”.

Per quanto riguarda lo scambio di informazioni tra stati membri, anche questo di particolare interesse per i dati che sono raccolti sui migranti, gli stranieri e i richiedenti asilo, il Fondo di Sicurezza Interna ha l’obiettivo di tendere sempre di più all’interoperabilità tra sistemi nazionali. Si parla infatti di potenziamento del sistema di rilevazione dati digitali (AFIS) e palmari (APIS) per le autorità che operano sul territorio. I finanziamenti in arrivo dall’Unione europea possono essere acceduti nazionalmente in due modi: attraverso inviti ristretti, utilizzati quando il ministero non individua una amministrazione beneficiaria particolare e quindi incoraggia l’invio di proposte, o per assegnazione diretta, che si ha quando il beneficiario ha competenze esclusive in materia e si assume il ruolo di coordinamento operativo. Attraverso la pubblicità degli appalti, pubblicati sul sito del Fondo Sicurezza Interna, è possibile verificare i progetti che sono stati implementati e poi affidati su territorio nazionale grazie ai finanziamenti europei e ricostruire—seppur in modo parziale—il risvolto pratico che questi hanno sul controllo del settore dell’immigrazione.

L’invio di istanze di accesso civico generalizzato (FOIA) è stato scartato in quanto le informazioni ottenibili online erano sufficienti ad avere un quadro generale dell’implementazione di ogni progetto; inoltre tra le esclusioni all’accesso previste dalla normativa c’è la necessità di tutelare tutto ciò che comprenda la sicurezza pubblica o l’ordine pubblico, eccezioni sovente utilizzate per negare la condivisione di ulteriori informazioni da parte delle autorità giudiziarie.

Dei progetti visibili online sul sito del Fondo di Sicurezza Interna, che a giugno 2021 conta il finanziamento di 117 progetti avviati per il valore di 568.866.243,23 euro, il team di ricerca ha considerato quelli aventi come oggetto pratiche di identificazione tramite tecnologie che possono presentare rischi dal punto di vista del trattamento dei dati biometrici e che potrebbero facilitare in futuro l’introduzione di tecnologie più complesse, come ad esempio il riconoscimento facciale. Il Progetto 73.5.2 ad esempio, affidato con assegnazione diretta alla Direzione Centrale Anticrimine (servizio di polizia scientifica) prevede il potenziamento, entro l’aprile 2022, del sistema nazionale di rilevazione dei dati AFIS del quale abbiamo ampiamente discusso in precedenza.

Si tratta di un finanziamento di entità modesta, circa 850.000 euro, del quale riusciamo a tracciare i risvolti nel sito della Polizia di Stato, e che dimostra come il ministero dell’Interno abbia intenzione di potenziare strutturalmente il sistema AFIS creando un AFIS Management Centre dislocato presso alcune sedi della polizia scientifica di diverse città italiane (Milano, Bologna, Palermo, Napoli e Padova). Lo scopo è quello di gestire a livello centrale tutte le attività tecniche che permettono l’interoperabilità con altri database europei per verificare documenti e identità delle persone che attraversano le frontiere, sulla scia della direzione che l’UE sta considerando migliore per facilitare il controllo dei flussi migratori. 

Falco Extended è invece il nome attribuito al progetto 87.5.1, affidato con assegnazione diretta alla Direzione Centrale Anticrimine e dell’importo di 4 milioni di euro. Uno degli obiettivi del progetto è quello di acquistare un sistema di pedinamento elettronico, così come di potenziare il sistema SARI per il riconoscimento dei volti. In questo caso, come si legge nell’avviso esplorativo pubblicato dal ministero dell’Interno, la Direzione Centrale Anticrimine (nello specifico la polizia scientifica di Roma) è dotata di un sistema di pedinamento elettronico denominato “GAIA”. Nella pratica il sistema si basa su un’architettura client-server che prevede un server centrale presso la polizia scientifica di Roma e client presso gli uffici investigativi che di volta in volta devono utilizzare il sistema. Ogni client gestisce un certo numero di dispositivi elettronici che, attraverso GPS, consentono il pedinamento a distanza di veicoli, persone e barche. Ad aggiudicarsi l’appalto SIO S.p.A, già coinvolta nello sviluppo e produzione di tecnologie per conto delle Forze dell’Ordine e all’interno della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la difesa e la sicurezza. Per quanto riguarda il potenziamento del sistema SARI, il bando e l’assegnazione sono stati ampiamente discussi nel capitolo dedicato alla decisione del ministero dell’Interno di utilizzare questa tecnologia direttamente sul luogo di sbarco dei migranti. 

Sebbene non si abbia contezza precisa del modo in cui siano svolte le procedure di identificazione dei migranti all’interno degli hotspot, attraverso il progetto 9.2.6 siamo a conoscenza della realizzazione di un sistema centrale di Enterprise Mobility Management volto alla verifica biometrica dell’identità. Nello specifico si prevede di fornire agli operatori degli Uffici di frontiera, negli hotspot e nei Centri di Identificazione, oltre 300 dispositivi mobili (di cui 227 smartphone e 76 tablet). Il fatto che tra il 2016, data iniziale effettiva di finanziamento, e il 2020 la definizione delle strutture di accoglienza sia mutata non aiuta sicuramente a comprendere dove saranno effettivamente utilizzati questi dispositivi. 

In ogni caso secondo le stime contenute nel capitolato d’appalto, il controllo biometrico dell’identità interesserebbe 167 strutture territoriali in tutto il paese, 4 hotspot e 9 Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), con uno spiegamento di personale di polizia di 4.600 operatori per il controllo di circa 50.000.000 di passaporti ogni anno. Connesso al progetto 9.2.6 è il progetto 97.2.6, sempre del Fondo Sicurezza Interna 2014-2020, “Stazioni mobili per il controllo di I e II livello” attraverso il quale il Ministero dell’Interno prevede di acquistare altri 40 smartphone destinati alle unità mobili della polizia per supportare gli operatori di frontiera nelle attività di verifica e controllo dell’identità. Secondo quanto descritto sul sito web del Fondo Sicurezza Interna, il progetto nasce in risposta alle raccomandazioni che l’Unione Europa ha espresso nei confronti dello stato italiano nella relazione di valutazione Schengen del 2016. 

Secondo un comunicato stampa della Commissione Europea in merito alla discussione della valutazione avvenuta sullo stato greco,

“il meccanismo di valutazione Schengen, istituito nell’ottobre 2013, prevede la verifica dell’applicazione delle norme Schengen in un determinato Stato membro attraverso visite di monitoraggio da parte di un’equipe di esperti degli Stati membri e Frontex, sotto la guida della Commissione” e, oltre a contenere una dichiarazione dell’allora commissario per la migrazione e gli affari interni europei Dimitris Avramopoulos, il comunicato riporta come “il progetto di relazione, che non è pubblico, si basa sulle visite in loco senza preavviso effettuate presso la frontiera terrestre greco-turca […]. La relazione esamina la presenza di personale di polizia e di guardia costiera nei siti visitati, l’efficienza delle procedure di identificazione e di registrazione, la sorveglianza alle frontiere marittime e la cooperazione con i paesi limitrofi.” Un aspetto particolarmente interessante è quello relativo all’identificazione dei migranti che, nel caso della Grecia, viene valutata negativamente: “i migranti in posizione irregolare non sono identificati e registrati efficacemente, le impronte digitali non sono inserite sistematicamente nel sistema e i documenti di viaggio non sono controllati sistematicamente per accertarne l’autenticità o per motivi di sicurezza mediante verifiche nelle banche dati pertinenti, quali il SIS, Interpol e le banche dati nazionali. Su tale base, il progetto di relazione conclude che la Grecia trascura gravemente i suoi obblighi e che sussistono gravi carenze nel controllo alle frontiere esterne che devono essere colmate e affrontate dalle autorità greche.”

Stando alla risposta fornita al giornalista Luca Rondi di Altreconomia, che ad agosto 2021 ha richiesto alla Commissione europea attraverso FOIA “copia di tutti i documenti (report finale, concept notes, verbali dei meeting, risultati dei questionari) inerenti la valutazione Schengen dell’Italia nel settore Return […]”, la valutazione Schengen italiana non era ancora completa. In ogni caso quest’ultima non sarebbe resa pubblica poiché il documento ricade sotto le eccezioni al diritto di accesso previste nell’articolo 4(3) e nell’articolo 4(1)(a) del Regolamento 1049/2001: la pubblicazione del documento, si legge nella risposta, “potrebbe rivelare carenze del sistema nazionale di rimpatrio, discrepanze tra la legislazione nazionale e l’acquis dell’Unione o le lacune tra il quadro legislativo e la prassi nazionale. […] La divulgazione pregiudicherebbe gravemente la tutela del processo decisionale della Commissione, in quanto rivelerebbe opinioni preliminari e opzioni politiche che sono attualmente allo studio […].”

In sostanza, la pubblicazione lederebbe la tutela dell’interesse pubblico in materia di pubblica sicurezza e i rapporti attuali e futuri tra Italia e paesi terzi: un curioso paradosso visto che è esattamente nell’interesse pubblico dei cittadini e delle cittadine europee conoscere in quale modo sono spesi i soldi dell’Unione europea e per quali progetti, nonché il livello di tutela dei diritti umani che si garantisce ai cittadini e alle cittadine e a chi attraversa il confine non solo in termini di diritti umani ma anche diritti umani digitali. 

Quadro economico della spesa complessiva prevista dal Ministero dell’Interno (con cofinanziamento europeo) per i progetti 9.2.6 e 97.2.6, triennio finanziario 2020-2022.

Sempre nel capitolato tecnico del progetto 97.2.6 si fa riferimento al fatto che la Direzione Centrale dell’Immigrazione e la polizia di frontiera non disponga (prima di questo appalto) di dispositivi mobili utili al controllo documentale e alla verifica dell’identità biometrica: da quanto sappiamo attualmente esistono, all’interno di porti e aeroporti, postazioni fisse chiamate SIF client che dialogano direttamente con la rete interna del ministero e sono utilizzati per verificare le informazioni presenti o ricavabili su un documento di identità. L’intenzione sottesa è quella di utilizzare questi strumenti anche all’interno degli hotspot, nei quali sono previste attività di raccolta dati attraverso modelli cartacei successivamente digitalizzati manualmente. Dei più di 2 milioni di euro stanziati (in parte dall’UE e in parte dall’Italia stessa) ne risultano erogati, al momento della stesura di questa ricerca, lo 0%(6). 

(6) In questo caso è possibile che le pagine web dedicate ai progetti del Fondo Sicurezza Interna non siano tempestivamente aggiornate in merito alla percentuale di budget erogato, anche in virtù del fatto che l’affidamento è stato aggiudicato all’azienda ATOS Italia.  

L’azienda che ha ricevuto entrambi gli affidamenti è Atos Italia, capitolo italiano di un’azienda tecnologica attiva nel campo della regolazione dei confini e della gestione della sicurezza interna ed esterna che tra il 2008 e il 2019 è stata diretta a livello internazionale dall’attuale commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton. Azienda ben più conosciuta in Italia è Telecom Italia S.p.A, che si è aggiudicata invece la fornitura della parte di progetto dedicata allo sviluppo di un’app mobile per i dispositivi di cui sopra. 

I finanziamenti europei non sono unicamente volti all’acquisto di strumentazione tecnica e tangibile. Secondo quanto riportato dalla testata giornalistica Wired Italiache ha ripreso la pubblicazione di centinaia di documenti ottenuti attraverso FOIA dall’associazione inglese Privacy International—fondi comunitari vengono utilizzati anche per erogare corsi di formazione alle forze di polizia al di fuori dell’Europa, volti a fornire conoscenze maggiori su tecniche di sorveglianza della popolazione e strumenti di hacking. Cepol, agenzia europea per la formazione delle forze dell’ordine e dei funzionari, è operativa dal 2006 e organizza giornate di formazione nelle principali capitali europee rivolte soprattutto alle agenzie di sicurezza appartenenti a paesi africani o dei balcani. Secondo quanto riportato da Wired Italia e precedentemente ottenuto da Privacy International, Cepol forma le forze dell’ordine all’utilizzo di tecniche sull’estrazione dei dati e sull’utilizzo di trojan da inoculare all’interno di dispositivi mobili e computer, tecniche controverse e regolamentate in modo articolato nei paesi europei, in paesi in cui manca spesso del tutto alcuna forma di regolamentazione e tutela. In diversi di questi paesicome ad esempio Marocco, Tunisia e Montenegrosono stati riportati abusi e pratiche di sorveglianza ai danni di attivisti per i diritti umani, dissidenti e giornalisti, condotti con tecniche e strumentazioni analoghe.

In un altro articolo di Wired Italia, pubblicato ad ottobre 2021, si fa riferimento esplicito all’organizzazione di un corso a favore della cosiddetta guardia costiera libica in cui l’Italia risulta tra i formatori. Il corso prevede il coinvolgimento dell’Ufficio per la cooperazione internazionale del ministero dell’Interno e della Guardia di Finanza: l’obiettivo è quello di insegnare alle autorità libiche il modo migliore per utilizzare strumenti tecnologici atti a raccogliere dati biometrici appartenenti anche a bambini o persone vulnerabili. Anche in questo caso le politiche europee di esternalizzazione delle frontiere, dettate dall’obiettivo di gestione e controllo dei flussi migratori sono adottate senza tenere conto delle possibili ripercussioni che l’acquisizione di informazioni relative a cittadini—così come a migranti, stranieri e richiedenti asilo—possano avere un peso determinante in termini di abuso e violazione dei diritti umani, nonché la creazione e successiva normalizzazione di infrastrutture tecnologiche che sul medio-lungo periodo potrebbero essere in balìa di decisioni politiche controverse e inaspettate.