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Tecnologie per il controllo
delle frontiere in Italia

identificazione, riconoscimento facciale 
e finanziamenti europei

proTECHt migrants è un progetto di ricerca di Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights

Sostenuto da Privacy International


Team di ricerca: Laura Carrer, Riccardo Coluccini


Executive summary

L’utilizzo documentato di un sistema di riconoscimento facciale da parte dell’amministrazione comunale di Como o da parte della Polizia di Stato italiana ha aperto anche in Italia il dibattito su una tecnologia che all’estero, già da tempo, si critica per la sua inaccuratezza algoritmica e per la poca trasparenza. Un tema sicuramente preoccupante per tutti ma che certamente assume caratteristiche ancor più pericolose quando interessa gruppi o individui particolarmente vulnerabili come migranti, rifugiati e richiedenti asilo. In questo caso i dati e le informazioni sono processati da parte di agenzie governative a fini di sorveglianza e di controllo, con tutele assai minori rispetto ai cittadini europei ed italiani. Ciò comporta un grande rischio per queste persone poiché le procedure di identificazione al loro arrivo in Italia, effettuate all’interno degli hotspot, rischiano di essere un’arma a doppio taglio per la loro permanenza nel nostro Paese (o in Europa), determinando uno stato di sorveglianza continuativa a causa della loro condizione. Ancora una volta alcune categorie di persone sono costrette ad essere “banco di prova” per la sperimentazione di dispositivi di controllo e sorveglianza, a dimostrazione che esistono e si reiterano rapporti di potere anche attraverso la tecnologia, portando alla creazione di due categorie distinte: chi sorveglia e chi è sorvegliato.

Da questa ricerca emerge che le procedure di identificazione e categorizzazione dei migranti, rifugiati o richiedenti asilo fanno ampio utilizzo di dati biometrici—la polizia italiana raccoglie sia le impronte digitali che la foto del loro volto—ma non è sempre facile comprendere in che modo vengano applicate. Nel momento in cui viene effettuata l’identificazione, le categorie sopra citate hanno ben poche possibilità di conoscere appieno il percorso che faranno i loro dati personali e biometrici, nonché di opporsi al peso che poi questo flusso di informazioni avrà sulla loro condizione in Italia e in tutta l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, promuove da alcuni anni la necessità di favorire l’identificazione dei migranti, stranieri e richiedenti asilo attraverso un massiccio utilizzo di tecnologie: a partire dal mare, pattugliato con navi e velivoli a pilotaggio remoto che “scannerizzano” i migranti in arrivo; fino all’approdo sulla terraferma, dove oltre all’imposizione dell’identificazione e del fotosegnalamento i migranti hanno rischiato di vedersi puntata addosso una videocamera “intelligente”.

Ampio spazio è lasciato alla trattazione di come lo stato italiano utilizzi la tecnologia del riconoscimento facciale già da alcuni anni, senza che organizzazioni indipendenti o professionisti possano controllare il suo operato. Oltre alla mancata trasparenza degli algoritmi che lo fanno funzionare, infatti, non sono disponibili informazioni chiare sul numero di persone effettivamente comprese all’interno del database che viene utilizzato proprio per realizzare le corrispondenze tra volti, AFIS (acronimo di Automated Fingerprint Identification System).

Nelle intenzioni della polizia italiana, infatti, c’era l’impiego di un sistema di riconoscimento facciale, SARI Real-Time, per riconoscere in tempo reale l’identità delle persone a bordo di un’imbarcazione durante le fasi di sbarco sulle coste italiane. Il sistema SARI Real-Time, acquistato originariamente per l’utilizzo durante manifestazioni ed eventi pubblici, è stato reso inutilizzabile a seguito della pronuncia negativa del Garante della Privacy: rischierebbe di introdurre una sorveglianza di massa ingiustificata. La decisione del Garante tutela quindi non solo coloro che vivono nel nostro paese ma anche chi, in una situazione di estrema vulnerabilità, arriva sulle nostre coste dopo un viaggio interminabile e si vede sottoposto a un controllo sproporzionato ancor prima di ricevere supporto medico e valutazione dello status legale. 

Come Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali dal 2011 ci interroghiamo sul funzionamento e sullo scopo delle innovazioni in campo tecnologico, analizzandole non solo da un punto di vista tecnico ma anche attraverso la lente dei diritti umani digitali. Negli ultimi anni la datificazione della società attraverso la raccolta indiscriminata di dati personali e l’estrazione di informazioni (e di valore) relative al comportamento e alle attività svolte da ognuno di noi sono il tema centrale di ricerca, analisi e advocacy dell’associazione. Siamo convinti infatti che vada messa in dubbio non solo la tecnologia digitale creata al presunto scopo di favorire il progresso o di dare una risposta oggettiva a fenomeni sociali complessi, ma anche il concetto di tecnologia come neutra e con pressoché simili ripercussioni su tutti gli individui della società. È importante a nostro parere che qualunque discorso sulla tecnologia racchiuda in sé una più ampia riflessione politica e sociologica, che cerchi di cogliere la differenza tra chi agisce la tecnologia e chi la subisce.

Ecco i principali risultati della ricerca:

1.

La criminalizzazione della persona migrante, rifugiata o richiedente asilo è inscritta nell’infrastruttura tecnologica italiana

I dati biometrici raccolti al momento dello sbarco o dell’arrivo sul territorio nazionale sono inclusi in un database (AFIS) che contiene potenziali sospetti ed è utilizzato per ritrovare corrispondenze di volti e identità attraverso il sistema di riconoscimento facciale in uso alla polizia italiana, SARI. Questa criminalizzazione avviene senza la possibilità che la società civile possa conoscere esattamente il numero di persone fotosegnalate per ogni categoria prevista dalla legge, e quindi in modo incontrollabile e opaco. 

2.

I migranti, rifugiati e richiedenti asilo effettuano un vero e proprio baratto dei loro dati personali e biometrici in cambio di accoglienza

Inoltre, anche se avessero la possibilità di fornire un consenso informato e potessero appieno comprendere il motivo del trattamento dei loro dati personali e biometrici, la situazione di vulnerabilità e di marginalizzazione nella quale si trovano non gli permetterebbe di opporsi o di chiedere modifiche così com’è invece possibile fare a qualsiasi cittadino italiano o europeo.

3.

La gestione e il controllo dei flussi migratori in Europa non passa più solo attraverso le politiche dei flussi o il mero controllo delle frontiere

Le procedure di identificazione allo sbarco o all’arrivo su suolo italiano sono sempre più automatizzate e invasive. I database che conservano dati personali e biometrici unici di migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono popolati quotidianamente da ogni stato membro europeo, informazioni alle quali attingono varie autorità europee e forze dell’ordine nel corso delle loro indagini. Ulteriore preoccupazione nasce poi dai finanziamenti che l’Europa garantisce a paesi come Grecia, Spagna e Italia per il controllo e la gestione delle frontiere. In questa ricerca abbiamo quindi cercato anche di chiarire il percorso che questi soldi fanno, e di verificare l’impatto che le tecnologie (anche biometriche) hanno o potrebbero avere in campo migratorio.

4.

Il riconoscimento facciale usato in Italia nelle attività di indagine rischia di avere già conseguenze più gravi su migranti e richiedenti asilo

Ciò poiché non vi sono attualmente valutazioni pubbliche sull’accuratezza degli algoritmi impiegati nel sistema di riconoscimento facciale in dotazione alla polizia. Senza la corretta supervisione degli algoritmi impiegati, e considerando la criminalizzazione tecnologica del migrante, potrebbero prodursi casi di falso positivo che porterebbero alla violazione dei diritti umani di gruppi vulnerabili o che necessitano di particolari protezioni. 

Sulla base di queste evidenze, le nostre raccomandazioni sono indirizzate al governo, al Ministero dell’Interno e alle associazioni. Nello specifico:

1.

il governo dovrebbe intervenire fermamente sulla gestione dei database che raccolgono dati biometrici di persone che appartengono a categorie vulnerabili come i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, in modo tale che queste informazioni non vengano “diluite” tra quelle relative allo stato legale ad esempio di una persona che ha commesso qualsiasi reato penale. Chi è incluso nel database AFIS è considerato automaticamente un potenziale sospetto e la sua identità digitale biometrica è sottoposta una perquisizione ogni qualvolta il sistema SARI viene utilizzato.

2.

il Ministero dell’Interno dovrebbe chiarire i tempi di conservazione dei dati inclusi in AFIS e la composizione del database, sottoponendolo all’attenta analisi del Garante per la protezione dei dati personali. Per garantire che in futuro questi strumenti non vengano utilizzati su migranti e stranieri sarebbe poi consono fornire dettagli puntuali sugli algoritmi utilizzati con il sistema SARI, rendendo pubbliche valutazioni semestrali sulle prestazioni del sistema. 

3.

All’interno degli hotspot e, in generale, tra le organizzazioni che impiegano mediatori culturali dovrebbero essere favorite formazioni in materia di protezione dei dati personali dei migranti nonché, per quanto possibile, relative al consenso informato. È importante che, quando possibile, le associazioni cerchino di intercettare testimonianze delle procedure di raccolta dei dati biometrici, in modo da documentare le pratiche messe in atto dalle forze dell’ordine italiane.

Introduzione

L’odierna società è indubbiamente sempre più plasmata dall’utilizzo di tecnologie digitali e dalla raccolta di dati personali per numerosi scopi. Guidare con un approccio techno-driven scelte politiche e di governo, a livello nazionale come locale, è ormai imprescindibile, così come è impossibile rallentare l’evoluzione tecnologica di alcuni settori come la medicina, il lavoro, l’educazione. La pervasività di questo fenomeno forse ha raggiunto il suo apice a seguito della pandemia da Covid-19, durante la quale i governi di molti Paesi del mondo hanno dato enorme importanza al tracciamento dei contagi attraverso l’uso di applicazioni. Per apice intendiamo il momento in cui probabilmente l’opinione pubblica si è parzialmente resa conto che il tecnosoluzionismo, ovvero l’idea che la tecnologia possa offrire una soluzione laddove vi sia un problema di qualsiasi tipo, stia velocemente dettando il futuro della società intera, non solo occidentale. Non è più spontaneo chiedersi se le soluzioni tecnologiche che vengono sviluppate da aziende private siano concepite con il compito di servire l’essere umano, o semplicemente se vengano dipinte come panacea per la progressione oggettiva e razionale dell’umanità.

Negli ultimi anni le politiche migratorie europee si sono basate sempre di più sulla detenzione e l’espulsione dei migranti, nonché sulla sorveglianza dei confini già militarizzati dell’Unione europea. Braccio operativo è Frontex, agenzia per la sicurezza delle frontiere esterne, il cui peso nella gestione dei flussi migratori è ormai impossibile non considerare. A conferma di ciò tra il 2005 e il 2020 il budget dell’agenzia—composto da finanziamenti europei e contributi da parte dei paesi Schengen—è aumentato di quasi il 1000%, passando da 5,5 milioni a 460 milioni di euro.

Frontex nasce con lo scopo di “salvaguardare le frontiere europee dalla criminalità, in linea con la Carta Europea dei diritti fondamentali e il concetto di “gestione europea integrata delle frontiere” ovvero il coordinamento e la cooperazione nazionale ed internazionale tra tutte le autorità e agenzie competenti nella sicurezza delle frontiere, libere e sicure”. All’atto pratico Frontex agisce da raccordo tra le istituzioni europee e i governi membri dell’Unione guidando operazioni militari, finanziando ricerche sull’uso delle tecnologie di controllo e coordinando progetti di sorveglianza. Nel dicembre 2019 è diventata la prima (ed unica) agenzia europea dotata di un proprio corpo armato autonomo con lo scopo di aiutare gli stati membri sul campo: nel 2027 gli agenti dovrebbero raddoppiare, diventando 10.000. L’agenzia, unita al postulato che le navi di salvataggio siano un fattore di spinta(1) per i flussi migratori verso l’Europa e non un aiuto immediato a chi cerca di attraversare il mare, è la mossa più concreta che l’Unione Europea ha fatto finora verso due direzioni. La criminalizzazione delle operazioni di soccorso è infatti solo uno degli aspetti cruciali portati avanti dalla politica europea sul tema.

Da un punto di vista economico e procedurale, l’UE prevede lo stanziamento di ingenti risorse e persone per risolvere situazioni definite di “immigrazione emergenziale” al confine con il proprio territorio, così come l’aiuto nei confronti degli Stati membri nell’identificazione e nel rilevamento delle impronte digitali dei migranti. 

Da un punto di vista prettamente politico, Frontex è sostanzialmente l’espressione più concreta della volontà di accrescere sempre di più il monopolio dell’autorità militare, intesa come unico attore in grado di salvare—quando possibile—vite umane. 

In questo senso la tecnologia, e nello specifico l’utilizzo di dati identificativi o biometrici, può essere definita come parte fondamentale per la realizzazione delle politiche di sicurezza che mirano alla tutela dello status quo, mettendo a rischio libertà individuali e diritti fondamentali con un diverso grado di ripercussioni. I dati biometrici sono infatti quanto di più unico abbiamo afferente il nostro corpo, e diventano nutrimento di un dispositivo biopolitico con il solo obiettivo di gestire e controllare, normare e normalizzare. 

Il controllo dei flussi migratori al fine del mantenimento di uno status quo è esercitato attraverso un potere (quasi sempre) coercitivo, che si mostra ed è raccontato come neutrale, naturale e benevolo. In Italia il controllo dell’immigrazione in quest’ottica è in corso da molto tempo: dopo la promulgazione della legge Martelli nel 1990, a tutti gli effetti più una moratoria che mirava a sanare la situazione di irregolarità alla quale erano sottoposti i lavoratori stranieri, è stata la volta—alla fine degli anni ‘90—della normativa Turco-Napolitano che ha definito l’impianto sul quale la successiva Bossi-Fini avrebbe ruotato. Quest’ultima ha modificato in senso punitivo tutta la materia concernente l’arrivo e la permanenza dello straniero (migrante) senza dare spazio a pratiche di integrazione nemmeno a chi in Italia arriva regolarmente.

Durante lo sbarco e successivamente, migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono sottoposti a procedure di identificazione obbligatorie senza comprenderne appieno il funzionamento e, di conseguenza, senza fornire un consenso informato. Questi dati confluiscono in database nazionali e sono messi a disposizioni di autorità e agenzie per il controllo dell’immigrazione nazionali e internazionali.

Riflettendo sullo stato dell’arte possiamo dire che attraverso un approccio tecnico e tecnologico il potere politico dei governi europei regola anche la vita dei singoli, controllandone i corpi (alcuni più di altri) e quindi la vita, la morte, la salute e la malattia. A metà degli anni ‘70 Michel Foucault parlava di biopolitica, che ha come oggetto la popolazione, mentre il fine del potere esercitato dallo Stato dovrebbe essere il benessere della stessa. Possiamo dire però che i corpi dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo diventano oggetto di una strategia politica che è ritenuta scientifica e “razionale”. Quello che Foucault chiamava biopotere, ovvero l’insieme di tecnologie, pratiche e metodi per il controllo dei corpi e della vita della popolazione, è ora un’interpretazione sempre più precisa del modello di società odierna. Il sistema di sorveglianza viene costantemente normalizzato e culmina nel biopotere proprio tramite quei dispositivi di regolazione tecnologici che impongono una sorta di regime di verità. Quest’ultimo pone gli individui, la popolazione di uno Stato o chi semplicemente lo deve attraversare, in una condizione di assoggettamento in cui alla fine nessuno dubita né delle norme né dei meccanismi di potere che vengono esercitati.


(1) Il “pull factor”, ovvero il fattore di spinta che le imbarcazioni delle ONG opererebbero sui flussi migratori verso l’Italia non ha riscontro nei dati. Secondo dati raccolti da ISPI in collaborazione con UNHCR e OIM tra il 1° gennaio 2019 e il 14 luglio 2020, il numero dei migranti partiti dalle coste della Libia con o senza navi di soccorso al largo è pressoché uguale.

Nota metodologica

I ricercatori del team del progetto proTECHt migrants hanno utilizzato l’accesso civico generalizzato (FOIA) per richiedere atti e informazioni prodotte e detenute dalle pubbliche amministrazioni (questure, ministeri). Lo scopo delle richieste FOIA era quello di ottenere fonti ufficiali in merito a procedure che non è stato possibile verificare in altro modo, o che non erano comprese tra i documenti che la normativa in materia di trasparenza definisce già come documenti da pubblicare obbligatoriamente. 

Per  quanto riguarda invece le informazioni relative ai fondi europei e agli appalti indetti dalla Polizia di Stato, il team ha svolto un’attività di desk research partendo dal sito del Fondo Sicurezza Interna del Ministero degli Interni. Da lì, analizzando ogni codice di descrizione del singolo progetto si è cercato di risalire ai singoli appalti indetti dalla polizia e documentati nella sezione amministrazione trasparente. Per ogni progetto finanziato possono esserci più appalti e, in aggiunta, è possibile che alcuni di questi non siano rintracciabili semplicemente tramite una ricerca di parole chiave, per questo motivo la ricerca non può considerarsi esaustiva. Allo stesso tempo, per la maggior parte dei progetti di interesse per il team sono state trovate informazioni relative al bando di gara, capitolato tecnico, documenti di aggiudicazioni e altri dettagli. In tutte queste circostanze, le informazioni rinvenute sono state giudicate sufficienti per comprendere la natura e gli obiettivi del progetto, oltre a individuare quali fossero le aziende coinvolte. Per questo motivo si è deciso di non ricorrere all’invio di istanze di accesso civico generalizzato per gli appalti.

Nella ricerca sono citati i termini “migranti, rifugiati o richiedenti asilo” allo scopo di includere nel discorso sulle procedure di identificazione, sorveglianza e controllo, tutte le diverse situazioni o categorie protette nelle quali coloro che provengono da paesi extra UE si possono identificare. 

Il report presenta inoltre alcuni limiti. Non contiene la voce di coloro i quali hanno sperimentato sulla propria pelle i procedimenti di identificazione e le successive forme di sorveglianza che a questo momento cruciale sono associate. Lo scopo dello studio è quello di fornire una fotografia del viaggio parallelo che investe migranti, rifugiati e richiedenti asilo: quello che compiono i loro dati biometrici a partire dall’arrivo sul territorio italiano fino al centro dell’Europa, a Strasburgo, dove ha sede il database di impronte digitali EURODAC.

Conclusioni e raccomandazioni

Parlare dell’impatto che le tecnologie digitali hanno sulla nostra società è fondamentale, soprattutto perché non tutte le individualità ne sono soggette allo stesso modo. L’immigrazione è però uno dei settori della società in cui è più facile, per i governi o gli apparati statali ed europei, operare scelte orientate da un approccio tecnologico al fine di controllare i flussi migratori e le persone in movimento. Questo è dovuto in parte alla giustificazione, addotta dai governi, che trova ragione anche in Italia nella necessità di mantenere un certo grado di sicurezza nei confronti dei cittadini (coloro che “appartengono” al territorio italiano, segnato dai confini e dal mare) attraverso la gestione dell’ultimo “fronte fortificato”, che lascia fuori l’Altro e ne sottolinea le differenze, anche dopo l’incessante pressione nei confronti di un’apertura dei mercati e dei flussi operata dalla globalizzazione. Mentre in Europa si discute di come regolare la continua evoluzione delle intelligenze artificiali in settori quali il lavoro, la Pubblica Amministrazione o la sanità, il settore della sicurezza sembra essere esente da precise e necessarie regole che guardino ai diritti umani. 

La sperimentazione di tecnologie digitali in materia di migrazione è un fenomeno totalmente sui generis poiché migranti, stranieri e richiedenti asilo sono rappresentati come popolazioni da dover controllare, tracciare e sorvegliare in quanto al di fuori dei confini e dunque della legge. Non è previsto, come per tutti gli altri (cittadini o legalmente residenti all’interno dei confini statali e dell’UE), sia determinata una ragione specifica per la quale le persone in movimento debbano essere controllate poiché è la loro intrinseca situazione che le rende oggetto di tale sorveglianza. Di conseguenza la sperimentazione tecnologica si verifica in zone grigie, in cui la responsabilità dello stato e dei governi è ridimensionata grandemente per via dell’ambito in cui viene agita. Lo scopo principale dell’utilizzo di tecnologie avanzate come quelle biometriche è, da non dimenticare, quello di raccogliere dati e informazioni strettamente personali e uniche, operando un’attenta analisi per effettuare un controllo sui corpi che attraversano i confini e gli spazi.

Certamente il fatto che le tecnologie utilizzate siano ritenute dall’opinione pubblica oggettive, razionali e neutrali, non aiuta una possibile contro-narrazione. La sorveglianza che lo stato mette in campo utilizzando dispositivi di potere innanzitutto accentra nelle mani di attori privati un’enorme influenza sulla vita delle persone; inoltre, esclude già a monte la possibilità che il pubblico possa comprendere appieno il modo in cui queste tecnologie operino, e questo poiché sono “scatole nere” impossibili da osservare se non dall’esterno. A ciò si ricollega anche la difficoltà nell’ottenere informazioni circa l’utilizzo di fondi europei per tecnologie e strumenti di sorveglianza: la trasparenza degli appalti è certamente utile, ma è solo il primo gradino di una lunga scala di cui non si conosce la fine. Con questa pubblicazione ci auguriamo che le associazioni di settore comincino a interrogarsi sui dispositivi che reiterano e automatizzano il controllo dei corpi di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, tema che nel settore è già di per sé caratterizzante.

Inoltre i sentimenti xenofobi e razzisti veicolati ormai da tempo in Italia anche a livello politico, giustificano e promuovono positivamente la sorveglianza di alcune categorie di persone rappresentate come appartenenti a valori morali o sociali differenti, e perciò non al livello di quelli europei. La tecnologia non è affatto neutra e questi pregiudizi sono riflettuti al suo interno sottolineando ancor di più e in maniera automatizzata la presenza di norme, valori e poteri che ne dominano altri. Ciò che sfugge però è che aderendo a questa definizione di “noi” e “Altro”—tossica non solo in questo contesto—non si fa altro che rinforzare nella collettività l’idea che vi siano persone o comportamenti da combattere: come scritto* dalla professoressa associata di Criminologia all’Università di Bologna Rossella Selmini però, “mentre si rinforza il controllo di alcuni gruppi sociali marginali, che sono l’obiettivo più diretto e immediato delle nuove politiche di controllo, al tempo stesso la sorveglianza si espande verso il resto della società, attraverso misure meno immediatamente coercitive, come la videosorveglianza”.

*All’interno del manuale “Dalla sicurezza urbana al controllo del dissenso politico. Una storia del diritto amministrativo punitivo”, Carocci editore, 2020.

1.

Cosa chiediamo al governo?

Per questi motivi crediamo sia necessario che il governo intervenga fermamente sulla gestione dei database che raccolgono dati biometrici di persone che appartengono a categorie vulnerabili come i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, in modo tale che queste informazioni non vengano “diluite” tra quelle relative allo stato legale ad esempio di una persona che ha commesso qualsiasi reato penale. Includere nello stesso database persone che hanno commesso furti o omicidi, persone che hanno un permesso di soggiorno, e chi è invece migrante o richiedente asilo rischia di minare i diritti fondamentali degli interessati. Chi è incluso nel database AFIS è considerato automaticamente un potenziale sospetto e la sua identità digitale biometrica è sottoposta una perquisizione ogni qualvolta il sistema SARI viene utilizzato.

2.

Cosa chiediamo al Ministero dell’Interno?

Allo stesso tempo sarebbe importante che il Ministero dell’Interno chiarisca i tempi di conservazione dei dati inclusi in AFIS e la composizione del database, sottoponendolo all’attenta analisi del Garante per la protezione dei dati personali. Per garantire che in futuro questi strumenti non vengano utilizzati su migranti e stranieri sarebbe poi consono fornire dettagli puntuali sugli algoritmi utilizzati con il sistema SARI, rendendo pubbliche valutazioni semestrali sulle prestazioni del sistema. 

3.

E le associazioni?

All’interno degli hotspot e, in generale, tra le organizzazioni che impiegano mediatori culturali dovrebbero essere favorite formazioni in materia di protezione dei dati personali dei migranti nonché, per quanto possibile, relative al consenso informato. Chi si occupa di prima e seconda accoglienza, a conclusione di tutto il discorso esposto, si trova indubbiamente nella posizione più difficile: di fronte alla necessità e urgenza di prestare aiuto legale, materiale e psicologico alle persone che arrivano in Italia dopo lunghi e difficili viaggi, gli aspetti legati alla dimensione tecnologica e al trattamento dei dati personali passano chiaramente in secondo piano. 

Attraverso la presente ricerca abbiamo cercato di dare forma al complesso tema del massivo utilizzo di tecnologie per dare risposta a fenomeni sociali estremamente complessi. Questo è un quadro ancora da completare e in continua evoluzione, ma contiamo possa dare una buona base di informazioni che aiutino a capire che il tema dei dati personali o biometrici è ormai egualmente rilevante e degno di attenzione rispetto ai principali temi che scendono in campo quando si parla di accoglienza e di solidarietà nei confronti dei migranti e delle persone in movimento. 

È importante che, quando possibile, le associazioni cerchino di intercettare testimonianze delle procedure di raccolta dei dati biometrici, in modo da documentare le pratiche messe in atto dalle forze dell’ordine italiane. Di estrema rilevanza è anche la possibilità interna alle associazioni di seguire formazioni e orientamento in merito alle evoluzioni in contesto europeo: funzionamento dei database nazionali e loro interoperabilità a livello comunitario, raccolta e trattamento dei dati personali, ripercussioni possibili a seguito dell’utilizzo di particolari tecnologie proprietarie, individuazione e mitigazione dei rischi e degli impatti sui migranti.

Terminologia

Automated Fingerprint Identification System (AFIS): è il database utilizzato dalla polizia italiana per effettuare le corrispondenze dei volti acquisiti tramite sistema di riconoscimento facciale. Include impronte digitali, dettagli personali, segni particolari e fotografie dei volti di individui che hanno commesso un crimine in Italia. Da quanto sappiamo contiene approssimativamente 9 milioni di volti unici: 2 milioni sarebbero di cittadini italiani, 7 milioni i cittadini stranieri. Questi ultimi possono essere stranieri residenti in uno stato dell’Unione europea o provenienti da altri stati fuori dall’UE, ma anche migranti o stranieri che vivono in Italia grazie ad un permesso di soggiorno.  

Dati biometrici: per dati biometrici si intendono quelle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona, che ne permettono o confermano l’identificazione univoca. Esempi di dati biometrici sono le immagini del viso o i dati dattiloscopici delle impronte digitali. Altri sistemi che usano dati biometrici per identificare una persona sono quelli che si basano sulla scansione dell’iride, sull’analisi della voce, sistemi che monitorano l’andatura di una persona, che registrano il modo in cui digita sulla tastiera o quei sistemi che permettono di effettuare  la scansione delle vene presenti in una mano.

Falsi positivi: nel contesto di questa ricerca, si parla di falsi positivi quando gli algoritmi di riconoscimento facciale individuano una corrispondenza con un volto che però non appartiene alla persona cercata. Il tasso di falsi positivi è uno dei valori che indicano le prestazioni dei sistemi di riconoscimento facciale. 

FAMI 2014-2020: è il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione istituito con Regolamento europeo 516/2014 e volto a promuovere attività di asilo, integrazione e rimpatrio nel settore dell’immigrazione. 

FOIA: con questo acronimo, mutuato dall’inglese Freedom of Information Act, si intende l’accesso civico generalizzato, normativa introdotta in Italia nel 2016 che consente l’accesso a tutti i documenti prodotti e detenuti dalle Pubbliche amministrazioni italiane. Alcune limitazioni sottraggono all’accesso i documenti che possono interferire con la sicurezza nazionale, sono coperti dal segreto di stato o potrebbero ledere gli interessi privati di alcune persone. 

Foglio notizie: modulo utilizzato dalle questure e contenente i dati anagrafici del soggetto e la possibilità di indicare i motivi del suo arrivo in Italia, scegliendo tra l’esistenza di legami familiari, la necessità di lavoro, l’intenzione di chiedere asilo o “Altro”.

OIM: acronimo di Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, organizzazione che vede l’Italia tra i suoi fondatori nel 1951. Nel tempo è diventata la principale agenzia internazionale a collaborare con i governi, anche se il suo lavoro non è definito da nessun framework legale o normativo (a differenza, ad esempio, di UNHCR). I finanziamenti all’organizzazione sono elargiti principalmente dagli USA e dall’Unione Europea. Ha sede a Ginevra e Roma. In quest’ultima OIM esercita un ruolo di coordinamento delle attività dei paesi dell’area mediterranea. 

Riconoscimento facciale: la tecnica del riconoscimento facciale si basa sull’elaborazione digitale di immagini (video o immagini statiche) all’interno delle quali si richiede all’intelligenza artificiale di riconoscere il volto di una persona. In biometria è utilizzato per verificare l’identità di una persona a partire da una o più immagini che la ritraggono. Attraverso il riconoscimento facciale, ad esempio, le forze dell’ordine possono trovare una corrispondenza tra l’immagine di un individuo sospetto e il database al quale fanno riferimento, contenente i pregiudicati. 

Sistema Automatico Riconoscimento Immagini (SARI): è il nome dato al sistema di riconoscimento facciale acquistato dal Ministero dell’Interno nel 2017 dall’azienda Parsec 3.26. È disponibile in due versioni, SARI Enterprise (ad oggi in uso) e SARI Real-Time.

SARI Enterprise: è un sistema di riconoscimento facciale in grado di confrontare l’immagine di un volto, presa ad esempio dalle registrazioni di una videocamera a circuito chiuso, con i volti inclusi nel database AFIS. La polizia italiana usa questo software per automatizzare la ricerca dei sospetti durante le indagini. Il garante privacy ha formalmente approvato il suo utilizzo nl 2018

SARI Real-Time: è un sistema di riconoscimento facciale in tempo reale. La polizia italiana ha dichiarato di voler utilizzare questo sistema durante manifestazioni o eventi pubblici, anche se ciò non è mai successo perché il Ministero dell’Interno ha atteso un parere positivo da parte del Garante per la protezione dei dati personali dal 2018 al 2021. Nell’aprile 2021 il Garante ha dichiarato che la polizia italiana non avrebbe nessuna base legale per utilizzare il sistema SARI Real-TIme. Ancor prima di ricevere il parere del Garante, però, il ministero ha pubblicato un appalto per il potenziamento del sistema, da utilizzare per monitorare lo sbarco di migranti e richiedenti asilo sulle coste italiane.

UNHCR: l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è un’agenzia delle Nazioni Unite che fornisce protezione internazionale ai rifugiati sin dal 1950. 
Watch-list: una lista di soggetti ricercati dalle forze dell’ordine che può includere persone ricercate per aver commesso un crimine e in fuga dalla legge, latitanti, persone legate ad associazioni terroristiche o anche persone scomparse. Nel caso del riconoscimento facciale in tempo reale, una watch-list è utilizzata per inviare un segnale di allerta qualora nelle riprese appaia la persona che si intendeva ricercare.

Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights
è un’associazione nata nel 2011 per promuovere e tutelare i diritti umani digitali in Italia.

www.hermescenter.org

Il progetto proTECHT migrants è stato svolto grazie al supporto di Privacy International.
Ringraziamo ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione per il contributo diretto alla ricerca.
Ringraziamo inoltre il lavoro quotidiano svolto dalle associazioni EDRi – European Digital Rights e Statewatch, di grande ispirazione per il progetto.

Autori: Laura Carrer, Riccardo Coluccini
Progetto grafico: Joëlle Noharet